venerdì 28 dicembre 2007

Quarantadue. Apprezzo lo sforzo.

Apprezzo lo sforzo di quel qualcuno che da lassù continua a mandarmi surrogati della neve, come semplice dichiarazione di impotenza, come a dire: questo è tutto quello che posso offrirti, tanta tanta nebbia, un massaggio al borotalco, la compagnia di una pecorella, e un po' di farina per tenere insieme i tuoi istinti, lo zucchero a velo di una bellissima vicina distratta, ma la neve proprio no, mi spiace, l'abbiamo finita tutta due anni fa. Apprezzo, e ringrazio, ma non sono una che si accontenta di surrogati.

giovedì 27 dicembre 2007

Quarantuno. Puf.

Con questa benedetta neve che non si decide a scendere, da un po' di mattine mi sveglio immersa in un biancore fitto e dolciastro e mi illudo osservando il tetto delle auto che sia finalmente arrivata ma niente, è solo la soffice ovatta di nebbia, e mi dico, ma allora cosa è Natale a fare, e lo dice una che la nebbia la adora e che pensa anche: meglio che niente. Meglio che niente: ma se voglio godermi quel mondo indefinito di suoni attutiti e persone che non si distinguono, devo uscire presto presto o tardi tardi e invece va sempre a finire che mi ritrovo a metà giornata con un cielo che non sa se essere grigio o di qualche altro colore, la nebbia è sparita chissà dove e spuntano ovunque palazzi e strade grigie e luci al neon e luminarie ansimanti. Meglio stare in casa, allora, schiena appoggiata al calorifero, tisana in grembo, libro in mano (l'elenco è lungo e basta far finta di essere chiusi in un bunker senza possibilità d'uscita, sullo sfondo di qualche apocalittica guerra del futuro, e giocare alla sopravvivenza, anche con i viveri). E mentre sono lì, sento puf!, guardo fuori dalla finestra e di colpo vedo scendere bianchi fiocchi leggeri. Neve, neve! Finalmente! Forse lassù hanno cambiato idea, sicuramente quaggiù non bisogna perdere tempo: in quattro e quattr'otto mi preparo ad uscire (perché la neve è bella quando è fresca). Ma ecco che sulla soglia di casa compare la vicina del piano di sopra. Bianca. Mi chiede scusa, per avermi imbrattato il balcone: le è scappata la mano con lo zucchero a velo del pandoro.

(Dimenticavo. Oggi mi è arrivata una mail spam da una certa Maria Bianca Farina. Non è un segno?)

mercoledì 26 dicembre 2007

Quaranta. La pegura la canta.

Trenta quaranta la pegura la canta
La canta sul pulée
Ciama ciama el pegurèe,
il pegurèe l’è andà a Ruma
ciama ciama la padrùna
la padrùna; la padrùna l’è nela stala
ciama ciama la cavala,
la cavala l’è in giarden,
ciama ciama Giuvanen
Giuvanen l’è tècc
Tiral giò per i urècc,
i urècc ghià malàa
al purterem a l’uspedàa
l’uspedàa l’è saràa sù
al trem denter nel partasù.

lunedì 3 dicembre 2007

Trentanove. La rivoluzione silenziosa.

L'importante è non farsi sentire. Non farsi vedere. Scardinare il sistema dall'interno. Si sa che gli omini del comune non sanno mettere un sanpietrino accanto all'altro, dopo pochi giorni il piccolo uovo di sasso rotola via. Si sa che le piastrelle, di qualsiasi materiale siano, dopo un po' si ondulano tutte, come San Marco a Venezia, per le radici che spingono da sotto, o per i piedi dei passanti che strisciano e calciano lontano i pensieri del vivere quotidiano. O forse perché i bimbi hanno poco spazio per giocare a biglie nei riquadri degli alberi, e le buche non si scavano nel cemento (ma anche gli alberi non dovrebbero stare sui marciapiedi!).
E via: via una mattonella dopo l'altra si fanno piste di biglie, bigliodromi, e saltelli e deviazioni e le gare diventano emozionanti. L'importante è non dare nell'occhio: una mattonella dopo l'altra, lentamente, tutti i giorni, come il galeotto che scava nella cella il suo buco per evadere. L'importante è non farsi notare: lo sanno bene gli uccellini, che la gente di città non guarda in alto. Così, ogni tanto, perché no? ai cittadini un po' di cacca in testa non può far male, pensano. Una protesta innocua, lascia il segno, ma non fa male.

venerdì 30 novembre 2007

Trentotto. Come se non ne avessimo già abbastanza...

In città c'è chi sostiene che è assolutamente necessario fare qualcosa per contrastare l'inquinamento luminoso e "favorire il risparmio energetico". Dicono che i pali della luce del futuro illumineranno q.b., come nelle ricette di cucina, quanto basta, senza dare troppo nell'occhio. E allora perché, mi chiedo pedalando poco prima di cena, perché mi sembra giorno, ora che dovrebbe essere buio fitto, e l'unica luce a illuminare la strada dovrebbe essere quella dei fari delle auto, perché lucette lucine lucicchiole di tutti i colori ci circondano, intorno ai pali, sì, ma anche intorno ai rami degli alberi, agli edifici storici, ai centri commerciali, in mezzo alle vie, giorno e notte, a intermittenza, a geometrie semplici e contorte? Perché il faro del cantiere si è riacceso?

sabato 24 novembre 2007

Le aspettative e la realtà.

L'esattezza delle cose che ti aspetti, la perfetta coincidenza di ciò che hai immaginato con ciò che è, la felicità di vedere che le due cose si sovrappongono esattamente e non c'è più divario tra pensiero e realtà. Stupendo. Non facile. Quasi sempre ti fai un'idea delle cose che poi non è mai quella.
Paola Mastrocola, Una barca nel bosco

mercoledì 21 novembre 2007

I me mine


La prof mi ha inviato un meme. Siccome non riesco in due parole a spiegare che cos'è (e forse ancora non l'ho ben capito) vi invito a leggere qui (cosa che farò anch'io... cioè, l'ho già fatto, ma siccome sono lenta e anche un po' pigra, devo rileggerlo). Per ora mi limito a rispondere alle domande del meme: trattandosi di domande personali, per me il me-me è una cosa che riguarda me, proprio me. I me mine, come diceva George Harrison.

Che cosa ti ha spinto a creare un blog? Il motivo per cui ho creato un blog è una specie di scommessa... con me-me. Ci ho provato una volta e non ci sono riuscita. Dopo qualche mese, mi sono detta: ma se ci riescono tutti, anche i più cretini, a fare un blog, i tredicenni, o quelli che non sanno nemmeno usare un computer, perché non posso riuscirci io, che sul computer ci sto quindici ore al giorno, e mi sono intestardita, e con lentezza ci sono riuscita. Superata questa fase di sperimentazione, la vera sfida è stata quella di creare qualcosa che avesse una sua identità e un messaggio.

Il tuo primo post? Il mio primo post era una specie di post di prova: un inizio di nuovo anno, nuova vita, nuove abitudini e qualche buon proposito.

Il post di cui ti vergogni di più? L'ho cancellato. E non me lo ricordo.

Il post di cui sei più fiero? I post di cui sono più fiera sono tutti quelli del 2005, quelli in cui ho parlato di biciclette (ne parlerò ancora...). Se devo proprio scegliere scelgo il post del cetaceo, per il miscuglio di realtà, leggenda, mito, sogno, irrealtà e immaginazione: il mondo in cui vivo io.

E adesso? Cosa devo fare? Rimandare il meme? Come una specie di catena di Sant'Antonio?

martedì 20 novembre 2007

Trentasette. Ciambelle (e pensieri) volanti.

Tavolo ciambella, inserito originariamente da cippa_trippa82.

Siamo arrivati lì col fiatone, io, Pampaluga e il commissarius Vincent Aquarius, che si era fatto strada nel traffico immobile della tangenziale spiegando una sirenotta un po' deboluccia ma che ha funzionato. E credevamo di trovare una foresta, almeno degli alberi, sennò che razza di foresta è? Se sei onesto, la chiami in un altro modo, prato, campo, pelucchiame. "E' una foresta in potenza" ci ha detto il dirigente della Provincia che si trovava in loco ben prima di noi. L'avevano avvisato della presenza di uno strano animale, e dopo lo scherzo degli ufo, non ci crede più, vuole verificare di persona, ma quando è arrivato ha fatto giusto in tempo a vederlo volare via. "Per un istante ho creduto si trattasse di un elefante - ci ha detto - poi ho capito: non poteva che essere una mongolfiera, un enorme pallone gonfiabile". Una gigante Ciambella, avrei voluto aggiungere, ma gli avrei confuso le idee. Addio Ciambella, che ne sarà ora di Donut? Io, intanto, mi sa che invito il commissarius a colazione.

venerdì 9 novembre 2007

Le sorti del romanzo


"Io auspico un tempo di bei libri pieni d'intelligenza nuova come le nuove energie e macchine della produzione, e che influiscano sul rinnovamento che il mondo deve avere. Ma non penso che saranno romanzi, penso che certi agili generi della letteratura settecentesca - il saggio, il viaggio, l'utopia, il racconto filosofico o satirico, il dialogo, l'operetta morale - devono riprendere un posto di protagonisti della letteratura, dell'intelligenza storica e della battaglia sociale".
(Italo Calvino, 1956)

domenica 4 novembre 2007

Trentasei. Identikit di Ciambella.


Il soggetto ricercato è un animale -più precisamente un elefante- di sesso femminile, di colore grigiastro, altro circa due metri e mezzo (quindi piuttosto basso per essere un elefante), lungo circa cinque metri e, si stima, di qualche tonnellata di peso. Ha grosse sopracciglia e zanne cortissime. L'animale non è pericoloso per l'uomo, per quanto riteniamo indispensabile rintracciarlo il prima possibile, per evitare che crei problemi di traffico. Si suppone infatti che, non amando molto l'acqua, si sia diretto verso la tangenziale per raggiungere una delle poche zone verdi della città nota come "foresta di pianura". Qui l'animale probabilmente spera di trovare cibo sufficiente alle sue esigenze (100-200 kg di fogliame, bacche e frutti al giorno) e di spiccare il volo per raggiungere il branco dal quale è stato separato alla nascita. E' infatti privo di orecchie ma dotato di piccole ali che ha imparato ad usare alla maniera dei volatili. Senza indugiare oltre, ci precipitiamo tutti alla foresta di pianura!

sabato 3 novembre 2007

Trentacinque. Elefanti o elefonti?

quadro di Guido Boletti

"Di solito quel numero lo facevano in due - mi dice la maschera, che per l'occasione si è travestita da Pampaluga - ma da qualche giorno Ciambella non si trova più". Parla strano questa maschera, penso. Il complemento oggetto non andrebbe dopo il verbo? Si vede che è straniera. Magari clandestina. Nomade, sicuramente!
La guardo meglio. Non ha l'aria della zingara.
"Ah capisco - azzardo - Donut. Ciambella. Si chiama Donut perché è ghiotto di ciambelle."
"Beh, in un certo senso lo è stato - dice lei abbozzando un sorriso - ma ora non più. C'è una sola Ciambella nella sua vita. Peccato che sia scappata. Secondo lei ci sono molti posti in questa città dove può nascondersi un'elefantessa?".
In verità uno solo. Anzi, due. Dipende dall'acqua.
"Gli elefanti amano l'acqua?" chiedo.
"Dipende - dice Pampaluga - gli elefonti sì, gli elefanti e le elefantesse un po' meno".
"Allora dobbiamo andare verso la tangenziale."

mercoledì 24 ottobre 2007

Trentaquattro. E' arrivato il circo degli elefanti.

"E' arrivato il circo degli elefanti". All'uscita da scuola, la prima cosa che potevi notare oggi era quell'immenso cartello pubblicitario, che diceva proprio così. Perché no? mi sono detta. L'ultima volta che sono stata a un circo mi hanno piazzato in braccio una scimmia e mi hanno scattato una fotografia. Ricordo ancora la mano rugosa della scimmia, molto più grande della mia. Un elefante, mi sono detta, non potranno mai e poi mai mettermelo in braccio per fare una foto. Ho chiesto alla tribù chi voleva accompagnarmi ma nessuno voleva rischiare la pelle. Non sapevo che i gatti (e tantomeno i nani da giardino) avessero paura degli elefanti, e allora ci sono andata da sola.
La tenda era stata montata a dieci chilometri di bici lontano da casa, in una zona di periferia trafficata soltanto da camion. Ci ho messo un po' ad individuarla, perché aveva lo stesso colorino grigio dei capannoni che le stavano intorno. Un grigio slavato di pioggia, maculato di perdite d'acqua. Dentro faceva freddo. L'elefante era uno solo, e molto triste. Non c'erano clown, né tigri, né trapezisti e tantomeno scimmie. "Questo è il circo degli elefanti" ha precisato la maschera all'ingresso. "E dove sono?" le ho chiesto. "Quello è Donut; la sua compagna, a dir la verità, sono giorni che non la troviamo. E' scappata". E poi mi ha fatto giurare di non essere una giornalista, e di non dirlo a nessuno, che sennò erano casini, e con l'asl, e le autorità. Donut sapeva fare solo una cosa: stare in equilibrio su una zampa sola. L'ho applaudito. Gli veniva proprio bene.

lunedì 22 ottobre 2007

Trentatre. Temperature andine.

Mi sono accorta che è arrivato l'autunno non solo per le labbra screpolate, il torcicollo, la velocità con cui i fazzoletti di carta volano dal loro involucro dritti nella spazzatura ma perché la tana si è improvvisamente popolata di strane creature.
Le mosche. Ne uccidi due ne compaiono quattro. Ognuna ha un punto del soffitto preferito. Ci stazionano per ore senza muoversi. Sembra un invito all'omicidio, io faccio finta di niente, perché così è troppo facile. Preferisco immortalarle quando mi danno noia, cioè sempre quando sto lavorando. Le piante. Hanno fatto di tutto per supplicarmi a non aprire più le finestre e qualcuna si è finta morta pur di farsi portare dentro. Per loro, qui si sta bene, fa caldo, mi sembra di capire. Almeno è riparato. A me si gelano mani e piedi, ossa e cervello. Mi sembra di stare in un igloo. Non so più chi ha ragione. Forse non mi accontento abbastanza. Sono abituata troppo bene.
Poi è arrivato lui, il cugino di Mucomorìs, il gatto andino, detto anche Titi. E' un misto tra un gatto, un procione e un tigrotto. E' in via di estinzione. Che faccio, lo ospito? Ma non è che poi mi tocca abbassare ancora la temperatura? Mi risulta che lui sia abituato a vivere tra i 3.000 e i 5.000 metri sulle Ande. E se si estingue?

lunedì 8 ottobre 2007

Silenzi/10.


A libro abierto, inserito originariamente da Ninio Confuccio.

Quando apri un silenzio di carta, qualcuno ti parla da lontano, colorando le pareti bianche della tua immaginazione con cammelli e balene, formiche rosse e pesciolini d'oro, gatti spazzacamino e nani bastardi.

martedì 2 ottobre 2007

Passato, presente e futuro


Il passato è legato al ricordo, il presente è prosaico e ateo, il futuro è il regno della poesia, delle attese, delle speranze, delle possibilità e della casualità. Ma sull’animo il futuro agisce con una forza infinitamente superiore a quella del passato; il passato lascia indietro soltanto la quieta sensazione del ricordo, mentre il futuro ci sovrasta con gli orrori dell’inferno o le beatitudini del paradiso. Gli dei che emergono dalle tombe non sono quindi che ombre di dei; gli dei veri e viventi, i signori della pioggia e del sole, del lampo e del tuono, della vita e della morte, del cielo e dell’inferno devono la loro esistenza soltanto alle potenze del timore e della speranza, che comandano alla vita e alla morte e che illuminano l’oscuro abisso del futuro con enti della rappresentazione. Il presente è oltremodo prosaico, concluso, determinato, immutevole, compiuto, esclusivo; nel presente la rappresentazione coincide con la realtà; in esso gli dei non hanno quindi posto né campo d’azione; il presente è ateo. Il futuro è invece il regno della poesia, il regno della possibilità e della casualità infinita. L. Feuerbach, L’essenza della religione

sabato 29 settembre 2007

Facciamo finta (ovvero un mese fa circa)

Il cielo è coperto da tappeti di nuvole colorate, noi siamo capitati in un villaggio andino delle Alpujarras bianco di calce, abitato da grassi signori e cani randagi affamati di spazzatura. Sulle strade curve che portano fin quassù abbiamo incontrato chumbos e limoni, mele, uva e fichi, siamo a mille metri d'altitudine ma soffia un caldo vento di mare. Ieri sera la luna ha provato più volte a uscire dal monte ma non ce l'ha fatta. Ha illuminato per un po', da dietro, la cresta del monte con la sua aureola e poi si è arresa.

giovedì 27 settembre 2007

Il ciclista fantasma.


C'è una specie urbana, il ciclista fantasma, che sta diventando di moda. Nessuno si accorge di lui. Il ciclista fantasma non infrange mai le regole: rispetta la segnaletica, pedala solo negli spazi a lui assegnati e mai contromano. Però nessuno sembra vederlo: né i pedoni, che attraversano la strada proprio mentre lui sta arrivando, né gli automobilisti che aprono portiere all'improvviso. Il ciclista fantasma ogni tanto si fa male, ma nessuno gli chiede scusa, perché nessuno ci fa caso. Perde i suoi poteri di invisibilità quando è lui a far male a qualcuno, ma difficilmente gli si dà ragione. Per gli altri, ha sempre torto.(dibujo de Irina Tozzola: clic)

mercoledì 26 settembre 2007

Trentadue. Gli ombrelli sono sempre troppo grandi per i portoni delle case.

E così, quando devi entrare, con lo zaino sulle spalle, la borsa a tracolla, la cartella con il computer e i sacchetti della spesa, dimentichi il pensiero che hai fatto stanotte alle quattro, quando il temporale ti ha svegliata con un tuono: che bello. Un po' d'acqua. Che bello non dovrò bagnare i fiori. Che bello. E' arrivato l'autunno. Le stagioni esistono ancora. Remolo e Mucomoris si sono dati tregua e si sono rifugiati sotto le coperte del mio lettone due metri per due, bagnati e impauriti. Il nano Glauco ha preferito restare di guardia. Ha saputo che nel quartiere si aggira una fatina di nome Trilly che vuole rapirlo. O meglio, lei è del Comitato "Liberiamo i Nani da Giardino" (o qualcosa del genere) e pensa di fargli un favore, non sa che non appena lo toccherà, lui l'ammazzerà a zappate. Non va tanto per il sottile, ed è un po' sadico, il nano Glauco.
E dopo tutto il cullare notturno del ticchettio della pioggia, e un risveglio un po' sudicio ma rilassato, ecco che in questo vero inizio d'autunno, mi tocca fare la cosa che non si dovrebbe mai fare in un giorno di pioggia: infilarmi nell'infernale automobile ed entrare in autostrada. Nove chilometri di coda, imbottigliamento al casello, file di camion giganti, due ore per trenta chilometri.
Giuro che la vendo. E che il prossimo giorno di pioggia mi dò malata.

martedì 25 settembre 2007

Trentuno. Cric croc. Fanno le foglie sotto le ruote della bicicletta. Di notte.

E non è che di giorno non lo fanno, semplicemente non te ne accorgi, perché il rumore del traffico e della gente è più forte di qualsiasi cric croc di un po' di foglie secche cadute da qualche giorno (da quando sono state avvisate che siamo in autunno, ormai: e quindi devono cadere). E chissà perché, non cadono mica sulla strada, cadono sulle piste ciclabili. Una bici dietro l'altra, e il tappeto di foglie si compatta, cade un po' di pioggia e le impasta per bene e a quel punto è probabile che non faccia più cric croc ma scic sciac e non riusciate più a distinguere una foglia dall'altra. Comunque cric croc è il primo dei motivi per cui vi consiglio di girare di sera in bici. Il secondo è che non fa ancora così freddo e si respira e il terzo è che la città è deserta e potete ascoltare il silenzio. Il quarto è che il sangue di sera circola meglio (questo l'ho inventato, ma mi sembra così), e il quinto che siete a impatto zero sul pianeta e il sesto (ultimo) è che non consumando petrolio, risparmiate denaro. Vi ho convinto?

mercoledì 19 settembre 2007

Trenta. Il vizio dell'insonnia.

Non so se l'ululato è un vizio, ma Remolo ha deciso che non vuole farmi dormire e non è nemmeno colpa sua, visto che ha scambiato il faro del cantiere di fronte a casa per una luna piena. Eh sì, si è riacceso. Ma perché? Non sono stata a spiegargli che le lune hanno le loro fasi e che non è possibile che rimangano piene per così tanti giorni, lo scoprirà da solo. Dopo che avrò fatto quella telefonata.

lunedì 17 settembre 2007

Ventinove. Da cosa si capisce che sta arrivando l'autunno. O l'estate.

I melograni. Le zucche. E i gerani che stanno tirando le cuoia sul balcone.
Per il resto, siamo più o meno a metà giugno. La scuola è finita, e io devo ancora partire. La cosa più difficile è preparare i bagagli senza dimenticare niente, e senza portare niente di troppo. Impossibile. Questa volta parto così come sono. Mi alzo, mi lavo e mi vesto, e via, sono pronta per il mio primo volo in mongolfiera. Sorvolerò le alpi liguri, e il vento caldo mi porterà verso l'iberia, poi chissà, l'africanera o le ameringhe. Ma il destino non è un foglio di excell. E infatti apro la porta di casa, faccio un passo avanti e quasi cado a rotoloni giù dalle scale, maledette donne delle pulizie che non rimettete mai a posto gli zerbini, penso. Lo zerbino emette un guaito. Guardo meglio: sembra un animale. Lo sollevo, il telo che lo avvolge cade per terra, e restiamo muso a muso io e quel coso dagli occhioni dolci. Al collo porta un'etichetta che dice: "piccolo lupacchiotto senza pelo ma con tanti vizi". Non bastavano il nano fuggitivo e il gatto istrione. Anche il lupacchiotto spelacchiato, adesso, e non voglio neanche sapere cosa vuole dire "con tanti vizi". Decido di chiamarlo Remolo, e lo faccio entrare. Per colpa di Remolo ho perso l'ultima mongolfiera, e adesso sono qui, passerò l'estate a casa, a sognare l'iberia.

mercoledì 12 settembre 2007

Ventotto. L'invasione dei castori.

Gli alberi di trenta piani del molleggiato non li fanno più. (Qui da noi, almeno). Danno troppo nell'occhio. Eppure, mi sono chiesta, da qualche parte ci dev'essere la fregatura. Perché, è inutile negarlo, sulla terra siamo sempre di più, e non hanno mica smesso di costruire. Ve lo dico in gran segreto, se non ve ne siete accorti: siamo circondati dai cantieri. Un giorno busseranno anche alla mia porta: un omino con l'elmetto, basso, baffi, faccia da castoro, mi dirà: "siamo venuti a buttare giù il muro". Non avrò nemmeno il tempo di dire: "bah" o "beh" o "un momento...", l'omino sarà già entrato in casa con la squadra di castoroni, e avrà già preso a misurare, trapanare e mi ritroverò in un nugolo di polvere a tossire come i superstiti delle torri gemelle, e me ne dovrò andare. Il nano Glauco, col suo fagotto, si calerà dal balcone con una fune e andrà a vivere nel giardino della vecchietta che sta tutto il giorno seduta sull'uscio, a guardare le tartarughe fuggire, e a riportarle al vicino. Mucomorìs sonnacchioso cercherà altri cornicioni e altri tetti su cui gnaulare le sue serenate alle belle e soffici gattine del quartiere (tanto c'è sempre qualcuno che dà da mangiare ai gatti). E io ercherò un'altra casa, o almeno ci proverò, e scoprirò che il sistema è quello di abbattere le vecchie abitazioni per costruirne di nuove, in un ciclo continuo. Solo che da una bellissima villa liberty, dove un tempo viveva una sola famiglia, si ricavano dieci appartamenti per dieci famiglie. E un giorno nello stesso spazio vivranno magari cinquanta famiglie, poi cento, in piccoli loculi: tutto a portata di mano. Ecco la fregatura.

lunedì 10 settembre 2007

Silenzi/9

Il silenzio disperato (o rassegnato?) di chi deve restare e vede gli altri andare via, è un silenzio fatto di luce e di segnali inviati nel deserto del mare. E' un silenzio che riesce a farsi vedere.

mercoledì 15 agosto 2007

Specchio del Bar Sur


BARRIO DE TANGO QUARTIERE DI TANGO, inserito originariamente da Vision: Bs. As. - Roma.

Potrei passare tutta notte
tutta notte ad osservare
questo specchio del Bar Sur
questo specchio rovinato
che è lo specchio del passato

La tua immagine lontana
questo specchio maledetto
porta dentro i miei pensieri
e rifletto come lui
sul passato, l'oggi e l'ieri

Sembrano ancora tutti veri
pezzi di piano, un bandoneon
sedie e tavolini
a media luz le luci
bottiglie tristi e sole
piume colorate
una lampada di carta
e vecchie foto di Gardel.

domenica 12 agosto 2007

L'uomo sulla luna.


Dopo la punta del bastone di legno, entrò il maestro, vecchio e cieco, sorretto da due discepoli. Gli si fecero subito tutti intorno, lo aiutarono a sedersi e Paolo, il più anziano, chiese: «dicci, maestro, cosa pensi dei sogni».
«Racconterò tre sogni.» disse il vecchio con un filo di voce «Del primo dirò che era un sogno modesto, coltivato da un contadino del Lussemburgo: poter vivere e coltivare la propria terra. Purtroppo era stato condannato all’esilio e il suo sogno non si realizzò mai. Divenne un sospiratore e molti anni dopo sulla sua tomba scrissero: voleva coltivare la terra, coltivò soltanto speranze e illusioni. Del secondo sogno altro non si può dire se non che era un sogno ambizioso, nel quale amava rifugiarsi un modesto impiegato di Trieste: sognava di diventare uno scrittore, e di essere ricordato da generazioni di lettori. A furia di sognare, l’impiegato divenne uno scrittore, ma non se ne accorse: si distrasse e morì. Sulla sua tomba scrissero: in vita un sognatore, in morte uno scrittore. Del terzo sogno non c’è da meravigliarsi, è un sogno che fanno tutti i bambini: sognano di diventare grandi. Soltanto il tempo può realizzare questo sogno, il caso distruggerlo acerbo. Non si ricorderà il vecchio di aver sognato e di essere stato esaudito, e sulla sua tomba non scriverà nulla».
Detto questo, tacque come assopito. I discepoli non osavano profanare il silenzio e stettero una buona mezz’ora senza dire nulla.
«Ho fatto un sogno stanotte» riprese il maestro all’improvviso. «Ho sognato di salire sulla Luna.». I discepoli sorrisero all'idea.
«E cosa hai mai visto, sulla luna, maestro?» chiese Ernesto.
«All'inizio ero felice: c'era una gran pace, e silenzio: il silenzio dell'universo. Ma è durato poco».
«E perché mai, maestro?».
«Perché quando mi sono guardato intorno ho visto un paesaggio desolante, grigio, polveroso. Sono qui, dunque, mi sono chiesto, i desideri e i sogni, le speranze, i sospiri e le illusioni dell’intera umanità? E me ne sono andato.».
«Quindi maestro» chiese ancora Paolo «a che serve continuare a sognare?».
«Serve a vivere. I sogni hanno il potere di mantenere in vita chi li fa e l'uomo non ha il diritto di calpestarli. Continuate a tenere i piedi saldi a terra e gli occhi ben piantati nel cielo».
Allungò la mano tremolante davanti a sé, e i discepoli capirono che aveva sete. Bevve un po' d'acqua, e poi aggiunse:
«Me ne sono andato dalla luna, perché volevo continuare a guardarla. O almeno a sognarla.».

venerdì 10 agosto 2007

Silenzi/8

El silencio
Oye, hijo mio, el silencio.
Es un silencio ondulado,
un silencio,
donde resbalan valles y ecos
y que inclina las frentes
hacia el suelo.

Il silenzio
Ascolta, figlio, il silenzio.
E' un silenzio ondulato,
un silenzio,
dove scivolano valli ed echi
e che piega le fronti
al suolo.

(Federico Garcia Lorca, Poema del cante jondo)

giovedì 9 agosto 2007

Ventisette. E uscimmo fuori a riveder le stelle...

E' stato facile e non pensavo, davvero. E' bastata una telefonata e la luce gialla si è spenta, come alla fine di una recita. A quel punto, però, il sipario invece di chiudersi si è aperto su uno scenario che per mesi ci è stato negato: il cielo notturno. D'accordo, di stelle non ce n'erano, forse perché era nuvolo, forse perché comunque viviamo nella pianura padana e non a Capo Horn. Ma bisogna sapersi accontentare e questo buio di seconda categoria, l'altra notte l'ho adorato.

lunedì 6 agosto 2007

Figli del vento

Allontanandoti dalla costa, prendi una strada a caso, sotto il sole cocente delle due del pomeriggio. C’è che può andarti bene, e ti ritrovi a seguire una strada asfaltata che ti porta da qualche parte, serpeggiando fino a qualche paese di quasi montagna, dove il maestrale diventa vento freddo che gioca, e a una cert’ora ti devi coprire. Oppure può andarti ancora meglio, e ti perdi prima a destra poi a sinistra, poi torni indietro ma non c’è più niente da fare, se non seguire l’istinto, e tanti saluti, se non sei dotato di senso dell’orientamento. Però è più bello così, perché scopri che esistono ancora strade sterrate, e campi con mucche a pascolare, e laghetti improvvisi, e stazzi isolati e dove un tempo vivevano i pastori ora vivono coppie di giovani innamorati in fuga dal continente. E allora non puoi far altro che staziare nello stazzo, come un beduino in un’oasi, e bere un buon tè freddo alla menta.

giovedì 2 agosto 2007

Le piccole cose



Quello che mi manca sono le sei rampe di scale da fare col fiatone, mi manca il pavimento di marmo e mi mancano le piastrelle sconnesse della cucina, mi manca la tua figura barcollante che chiede "chi è?"
mi manca il tuo sorriso stanco e quella frase, ripetuta milioni di volte, non ci vedo più, chissà poi cosa vedevi davvero con quei tuoi occhi di biglia.
Mi mancano i tuoi ricordi di ragazza e la poltrona nella quale il tuo corpo sprofondava, mi mancano le foto vecchie nelle cornici di ferro battuto, mi manca la tua mano nodosa e i tuoi capelli spettinati.
Mi manca quella telefonata di un anno fa e già sapevo che l'avrei rimpianta.
Mi manca persino il ruomore dell'ossigeno di fianco al letto dell'ospedale.

Buon compleanno nonna, dovunque tu sia. Io ti immagino nel paradiso delle nonne a cucinare una crostata per il tuo compleanno.

mercoledì 1 agosto 2007

Ventisei. Eclissi.

Poi la luna è scomparsa, sfumata dietro una finta nuvola. Solo che non è che siamo tornati a vedere il cielo e le stelle. Non ci siamo spaventati al pensiero che la mano del dio avesse coperto l’occhio notturno. Certo, fino a qualche minuto prima brillava in cielo e poi pluf! scomparsa ma non una scomparsa clamorosa, evidente, spaventosa, allarmante da perdita dei riferimenti, dell’orientamento. Si faceva persino fatica a vederla. Con tutto quel chiarore intorno.
Non vogliono proprio farci osservare il buio, farci immergere nella cecità notturna.
Sono passati 5 mesi e quel faro è ancora lì. Solo che adesso è estate, fa caldo e le tapparelle sono sempre su.

martedì 31 luglio 2007

Desideri


"Era il prezzo da pagare: guardare le vetrine da fuori tenendoci dentro i desideri. Sfiorare le stoffe dei costumi e proseguire. Sognarli, sognarli soltanto. Ancor oggi me li sogno, quei bellissimi costumi, e penso che se li avessi avuti, probabilmente me ne sarei già dimenticato. Il bambino vive e sogna con passione. L'adulto ricorda e a volte scrive. Ma possedere è spesso sinonimo di dimenticare, poiché si ricorda meglio ciò che non si è mai avuto o che si è perduto". Santiago Gamboa, Vita felice del giovane Esteban

lunedì 30 luglio 2007

In questi giorni è spuntata una Viola...


La mamma ha un sorriso che non si dimentica, un entusiasmo contagioso e parole che cullano. Fortunata Viola. Sei capitata in un bellissimo giardino.

giovedì 26 luglio 2007

Soffia il mistral

Quando soffia il maestrale i pensieri invece volano via veloci e nemmeno una piuma d’uccello riesce a catturarli. Così non resta altro da fare che aspettare e quando se ne sono andati tutti via col vento, ricominciare da capo. Che a volte è anche meglio perché quando ristagnano finisce che diventano marci, e non ci fai più niente.

martedì 24 luglio 2007

La bella lavanderina


Le mani godono del contatto con l’acqua prima calda di sole poi fredda anzi gelida di sorgente; e del profumo del sapone di Marsiglia che a vederlo sembra latte di cocco schiumoso. E mentre gratto contro il piccolo asse improvvisato vestiti e gratto canotte e gratto mutande e gratto sciacquo schizzo tutt’intorno, penso già ai panni stesi al sole, alla fatica leggera del vento che, senza chiedermi niente, si divertirà ad asciugarli insieme ai miei pensieri sudaticci.

sabato 7 luglio 2007

Le coincidenze di San Martino


Un anno fa. Il mio sguardo si sdraia nel letto della Loira, calma del tramonto e delle luci che scompaiono, presto, dobbiamo andare o non ritroveremo più la strada, l'azzurro scolora, la carta da zucchero si tinge di blu stellato di notte e di luna.
Un anno dopo, oggi. Lontano da Tours, vicino a San Martino.
Cosa può avere di bello un capannone che si affaccia su una strada di traffico e camion, me lo sono chiesta ieri, pedalando sulla ciclabile col sole che mi picchia in testa.
Qualcosa di bello l'aveva. E non era solo l'azzurro, erano il rosso, il giallo, il verde, la carta d'azzucchero dei caffé improvvisati. Era la campagna che si perdeva a vista d'occhio dietro la strada e dietro il capannone.
Che ci posso fare? Ieri ero proprio malinconica. Ma mi passa, mi passa...

sabato 30 giugno 2007

L'impermanenza delle cose


Sono un'accumulatrice di libri, carta e oggetti vari.
Non riesco a buttare via niente.
E se proprio devo, rimando, come se separandomi dall'oggetto, se ne andasse anche una parte di me.
Eppure. Di oggetti ne sono andati, non li ricordo più ma da qualche parte nella memoria ci sono, come tutti i libri che ho letto. Ogni libro e ogni oggetto hanno sedimentato qualcosa in me.
E allora una volta all'anno, decido di fare ordine.
A volte semplicemente sposto le cose, altre volte elimino o catalogo.
A volte forse bisognerebbe fare così anche con gli affetti.
Perché se non li si prende in mano, se non li si guarda da vicino, non ci si accorge più, dopo un po', della loro esistenza. Fanno parte del paesaggio quotidiano.
E quando sono tanti, il pezzo singolo si perde nell'insieme. E' impossibile ricordarsene tutti i giorni.
Forse bisognerebbe fare come i monaci zen: non possedere nulla, godere della fatica e della bellezza di un mandala e poi dissolverlo. Perché presto o tardi, se non lo facciamo noi, ci penserà il Tempo.

martedì 12 giugno 2007

A un amico che se ne va. Una promessa.


Visto che non potrò più offrirti un caffé o una tisana o un martini con qualche patatina (almeno non tutti i giorni), ho deciso che da qui, ogni giorno, ti regalerò un pensiero e un ritaglio colorato di questa pianura, in cambio del tuo sguardo di brezza e luna del Sudamerica. Atè logo.

martedì 27 febbraio 2007

Venticinque. Luna e gnàc.


Stasera mi sento come Marcovaldo nel racconto Luna e Gnac. Il cantiere di fronte a casa mia soffre di narcisismo. Deve farsi vedere. Ha bisogno di affermare la sua esistenza, di giorno, di notte, sempre, casomai ce ne dimenticassimo. Non so cosa voglia dire esattamente il faro che hanno piazzato in cima alla gru. So che illumina tutto il quartiere.
Io, per sbaglio, ho dimenticato di abbassare le tapparelle e sulla parete sono comparsi due riquadri giallastri. L'ombra cinese della gru invade i miei sogni come un mostro di metallo che si sfracella nel mio letto. Mi sveglio di soprassalto. Da lontano arriva il rumore di un antifurto. Chissà se riuscirò a riaddormentarmi. Di certo non vedrò le stelle.

domenica 25 febbraio 2007

Il fascino dei cantieri.

Il fascino dei cantieri, dei terreni incolti in attesa ha sedotto cineasti, romanzieri, poeti. Oggi quel fascino dipende, mi sembra, dal suo anacronismo. Contro l'evidenza, esso mette in scena l'incertezza. Contro il presente, sottolinea la presenza ancora palpabile di un passato perduto e al tempo stesso l'imminenza incerta di quanto può accadere: la possibilità di un istante raro, fragile, effimero, che si sottrae all'arroganza del presente e all'evidenza del 'già qui' (...) I cantieri, eventualmente a costo di un'illusione, sono spazi poetici nel senso etimologico della parola: vi si può fare qualcosa; la loro incompiutezza contiene una promessa.
Marc Augé, Rovine e macerie

venerdì 23 febbraio 2007

Ventiquattro. Cantieri veri o presunti.


La città è piena di cantieri. Dovunque mi giro vedo transenne, ostacoli, gru, divieti, ferite aperte nell’asfalto.
Sono belli i cantieri, lasciano spazio all’immaginazione, creano degli ostacoli nei sentieri di tutti i giorni. Pensi a cosa verrà fuori da quelle gru e montagne di terra e segnaletica e strisce bianche e rosse. Pensi che un giorno tutta quella polvere scomparirà e al suo posto si ergerà una casa, un giardino, una nuova strada, qualcosa che la tua mente riesca a classificare e utilizzare.
Il cantiere ti dice: alt! fermati! devi prendere una strada alternativa, di qui non puoi passare, stiamo lavorando anche per te, sciò! Il cantiere ti invita a sbirciare dentro, dietro le grate, stimola la curiosità, non ti fa stare più nella pelle.
Ma i cantieri non possono durare all’infinito. Da qualche parte devono portare. Se dietro ad un cantiere non c’è un progetto, uno scopo, una scadenza, allora è soltanto tutto un rimestare la terra sotto l’asfalto, come un chirurgo che apre un malato per vedere cosa ha dentro e poi lo richiude perché non c’è più niente da fare. Bisogna gridarlo a voce alta, se non c’è più niente da fare. Bisogna smettere, e passare ad altro.
C’è qualcuno che si arrende all’idea del cantiere, qualcuno che ama restarci all’infinito, che preferisce non finirle mai le cose, così non deve mostrare il proprio lavoro, ricevere critiche (ma nemmeno elogi!), giustificarsi, spiegare. Una specie di cantiere-limbo accidioso, di chi non vuole prendere decisioni, posizione. Di chi non vuole fare. Di chi fa finta di fare.
Oggi mi sono stufata. Ho scavalcato le transenne e sono andata a vedere cosa stavano facendo. Ci sono rimasta male. Nel cantiere non c’era nessuno.

venerdì 16 febbraio 2007

Ventitre. L'acqua del vicino è sempre più azzurra.


L’acqua non è tutta uguale. E non è solo bevendola che te ne accorgi. La nostra acqua è buona, si beve, non ha odori particolari, eppure manca di qualcosa. E’ un’acqua povera, dura, senza colore. E’ un’acqua che non riporta in vita. Siamo noi a decidere se deve essere calda o fredda, con una stupida rotazione del polso. E non è la lingua, non è il naso ad accorgersi che quest’acqua non va bene. E’ il corpo che reclama i sulfobatteri, i vapori, le bollicine piccole e quelle enormi, il calore che non puoi regolare.
Ma se avessimo quest'acqua tutti i giorni, siamo proprio sicuri di essere immuni dal virus dell'assuefazione? E che dopo un po' non ci sembrerebbe più così speciale?